Cinquantadue anni fa la storia della nostra città e della Repubblica italiana è cambiata per sempre.
Il 12 dicembre 1969 è una data tragicamente nota, che Milano e i milanesi conoscono e non devono dimenticare. La strage di piazza Fontana, un attentato di matrice terroristica che ha segnato l’inizio degli anni di piombo.
È trascorso più di mezzo secolo da quel pomeriggio in cui un ordigno devastò la Banca Nazionale dell’Agricoltura, un vile attacco al cuore della città e alle fondamenta della democrazia.
Tredici persone morirono sul colpo, ma nel bilancio finale si contarono 17 vittime e 88 feriti. Anche se ero appena un ragazzo, conservo il ricordo del sentimento di sconforto e paura che calò sulla la città e sul nostro Paese. Un sentimento che si sedimentò negli anni successivi e che io percepii con maggior consapevolezza negli anni 70. Ricordo le preoccupazioni degli adulti, dei miei genitori, a scuola. La mia fortuna fu incontrare la maestra Angela Ravaglia.
Sebbene frequentassi solo la scuola elementare, Angela ci faceva riflettere sulla giustizia sociale, sulle istituzioni della Repubblica, sulla Costituzione, portandoci in delegazione a Palazzo Marino a conoscere il Sindaco Aniasi, a leggere qualche semplice passaggio dei discorsi di Kennedy, Krusciov, Papa Giovanni 23°. Un modo unico per parlare a noi bambini, nati in un quartiere di periferia, affascinati dallo studio e della cultura, dai grandi temi ai personaggi del nostro tempo.
E determinante fu proprio la capacità del Paese, a tutti i livelli e in tutte le sue differenti appartenenze culturali, sociali, territoriali, religiose, di stare unito nelle istituzioni democratiche della Repubblica, della nostra Costituzione, anche con scelte difficili.
Non sarà sufficiente, ma nemmeno il tempo ha contribuito a rimarginare questa ferita: la “madre di tutte le stragi” è tuttora alla ricerca di verità e giustizia. Eppure i processi lo hanno stabilito in modo chiaro: l’attentato fu opera di un gruppo di neo-fascisti, ma nessuna condanna.
Una ferita resa ancor più acuta dalle circostanze e dai depistaggi e deviazioni che portarono alla persecuzione di Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda e all’attentato in cui ha perso la vita Luigi Calabresi.
A tutti loro e ai loro familiari, in veste di rappresentanti delle istituzioni, dobbiamo chiedere scusa e impegnarci in prima persona per ricercare la verità.
Non dobbiamo commettere l’errore di ritenere che la strage di piazza Fontana sia un evento passato, di un mondo remoto e che non ci appartiene più.
Anzi, al contrario occorre tenere viva e preservare la memoria: per questo dobbiamo ringraziare l’Associazione dei familiari delle vittime per il prezioso lavoro che svolge quotidianamente. Inoltre, il parlamento ha istituito la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo interno e internazionale (9 maggio).
Un’occasione che nelle parole del presidente Sergio Mattarella corrisponde “alla esigenza di permettere alla nostra comunità di elaborare e riconoscersi in una storia acquisita e condivisa a fronte dei tragici avvenimenti di quelle stagioni”.
Oggi Milano ha fatto sua questa tragedia, è cambiata ed è diventata più accogliente, sconfiggendo la paura e la violenza, prosperando e diventando una città internazionale grazie a valori come inclusione e solidarietà.
È innegabile che la pandemia abbia accentuato le tensioni sociali. Tensioni che non possiamo ignorare e con cui dobbiamo confrontarci, tentando sempre di aprire un dialogo costruttivo, laddove possibile.
Perché la strage di piazza Fontana ci ha insegnato molto, ma è stato un insegnamento doloroso per la storia di Milano, che proprio in virtù del suo passato è divenuta oggi più consapevole del suo presente e futuro.